Ho centinaia di fotografie, non pubblicate, del viaggio in Thailandia e mentre da poco le riguardavo, mi ha fatto sorridere la quantità di foto che ho scattato ai miei piedi. Sembrerà una raccolta strana e in effetti forse lo è. Non so bene cosa mi spinge ogni volta a fotografare le superfici su cui cammino, ma ne ho tante, non soltanto scattate in Thailandia. Forse è il contatto con la terra, l’atmosfera di quel momento, un modo per ricordarmi che io ero lì, che ci sono stata davvero. A volte invece è semplicemente doveroso fotografare quel pavimento, quella texture o le tracce del passaggio di chissà quanti granchi durante la notte sulla spiaggia.
Le ho messe insieme, rivissuto tutti quei momenti e ad ognuna di queste immagini riesco ad abbinare il ricordo esatto del mio stato d’animo.
Per me, è soprattutto questo che è in grado di fare la fotografia.
Siamo arrivati nell’isola di Phuket dopo circa novanta minuti di navigazione su un comodissimo traghetto partito dal pier delle Phi Phi Island.
Una notte a Patong, solo questo avevamo deciso al nostro arrivo a Phuket. L’idea di cosa fare dei nostri ultimi 3-4 giorni è arrivata per caso durante il transfer dal porto all’albergo. Un ragazzo inglese ha iniziato a parlarci di Nai Yang, consigliandocela vivamente per la bellissima spiaggia e la tranquillità del posto, quindi abbiamo preso appunti.
Dopo circa un’ora di macchina siamo arrivati al nostro albergo.
Patong è stato come un ritorno alla realtà. Dopo una settimana lontani dal resto del mondo, il traffico e il caos di questa località disegnata per il turismo, ci hanno fatto sentire come dei pesci fuor d’acqua. Questa è stata la sensazione iniziale. E con questa sensazione siamo quasi fuggiti la mattina successiva verso Nai Yang.
Decidiamo così di trascorrere i nostri ultimi cinque giorni in questa bellissima località che si affaccia sul mare, in un albergo vicinissimo all’aeroporto e al Sirinat National Park.
Abituati ormai ad una sorta di indipendenza, prendiamo in affitto uno scooter ed è esplorando la costa di questa parte dell’isola che scopriamo per caso un bellissimo isolotto ricoperto di sole palme che con la bassa marea è raggiungibile a piedi.
In questa suggestiva cornice ci rifugiamo per le nostre ultime giornate di mare, trascorrendo mattinate caldissime in spiagge completamente deserte.
Ho provato a godermi appieno ogni istante, ma per quanto mi sforzassi, più si avvicinava il giorno della partenza più cresceva in me una sorta di malinconia.
Ho cercato di vivere ogni istante con gratitudine e umiltà, senza pregiudizi e preconcetti, cercando di trarre un insegnamento da ogni momento, spensierato, complicato, divertente o stressante che fosse.
Ho cercato di relazionarmi con tutti con onestà e sincerità, nel bene e nel male. Ho di nuovo capito quanto sia fondamentale nella mia vita essere me stessa, seguire le mie sensazioni, ascoltarle. E’ un istinto fortissimo quello che mi spinge a non soffocare mai un’emozione, a manifestarla o semplicemente viverla intensamente in silenzio. Mi piace vivere una situazione o una persona a 360 gradi, lasciare lo spazio per far sì che l’ambiente o una sensibilità altrui si manifesti completamente, dandomi la possibilità di entrare in quel mondo e ammirarne le sfumature, anche quelle che ti fanno soffrire.
Ho lasciato che il viaggio mi guidasse, mostrandosi e mostrandomi di volta in volta la direzione da prendere. L’ho seguito, l’ho ascoltato e ringraziato, infinitamente.
Trust your journey. Always.
Quanto sono contenta e fortunata di avere la fotografia nella mia vita, quanto sono fiera di me per il fatto di aver raccolto tutte queste immagini, ricordi di momenti certamente indelebili ma avere la foto che supporta le visioni già presenti per sempre nella mente e nel cuore, per me non smetterà mai di essere un dono prezioso. Ci sono stati momenti durante il viaggio in cui ho perso quasi la pazienza, in cui usare la macchina fotografica ha significato doversi prendere cura della borsa tutto il giorno, aprirla e chiuderla dopo aver preso la reflex per fare magari anche solo due foto. Durante le giornate passate in navigazione tra le isole ho dovuto maneggiarla con le mani un po’ bagnate o unte di crema solare, soffiare via qualche granello di sabbia dal corpo macchina e osservare con attenzione e sensi di colpa la lente dell’obiettivo un po’ sporca. Ho pensato non fosse il caso di usarla in certi momenti, ma non riuscivo a trattenermi. E ora penso ne sia valsa assolutamente la pena.
Il sole cocente, gli schizzi delle onde che sbattono sulla barca e la pelle sempre più nera sulle spalle, il vento caldo, avvolgente e sensuale, la voglia di vivere ogni istante fino in fondo, riempirsi gli occhi di quei colori e guardarli ancora e ancora per imprimerli bene nella mente, i colori del mare così nettamente distinti tra loro in quelle linee di confine tra il blu chiaro e il blu scuro, le voci intorno di lingue straniere, gli occhiali sporchi di salsedine, l’acqua della bottiglia ormai tiepida e ancora il caldo e il sole che batte senza sosta, la sabbia bianca che abbaglia così tanto che senza occhiali da sole è difficile guardare. Il vento ha increspato la superficie del mare ogni singolo giorno e un po’ mi dispiaceva non poter godere della visione di un mare completamente piatto. Ma adesso il pensiero di quel vento caldo mi fa sognare di ritrovarmi proprio lì, in mezzo alla spiaggia deserta con i capelli che ondeggiano e i granelli di sabbia che volano attorno. L’energia che ha sprigionato la sento ancora sulla pelle.
La bellezza che si presentava senza alcun filtro, non lasciava spazio a molte parole. Davanti a quei panorami, a quel mare caldo e dai colori innaturali, l’unica cosa che si poteva fare era tuffarsi. Ho ringraziato tante volte sottovoce durante il viaggio, ma mai mi sarei aspettata di ringraziare anche dei pesci. E invece così è stato. Mi nuotavano attorno sfiorandomi continuamente, era un valzer di colori e di allegria, il grazie attraverso il boccaglio è venuto da sè.
Le foto che ho fatto non possono descrivere la sfrontata bellezza che riempiva gli occhi onda dopo onda. Ma come una bambina non riuscivo a trattenermi in nessun modo dal provare a rubare un po’ di quella magica combinazione caleidoscopica di colori e sfumature, di riflessi e trasparenze cristalline.
Abbiamo visitato quattro isole quel giorno e trascorso una notte a Phi Phi Island. La mattina seguente salivamo sul traghetto che ci avrebbe portato verso l’ultima tappa: Phuket.
I giorni su quest’isola sono stati lenti, caldi, avvolgenti. Non avevamo una routine ma ormai le giornate erano scandite da alcuni ritmi che abbiamo iniziato a seguire senza rendercene conto. A Koh Jum ci svegliavamo con il resto della foresta. I suoni che provenivano dalla fitta vegetazione alle nostre spalle sono stati la migliore sveglia della mia vita. Alle 6 eravamo già in spiaggia e ogni mattina era una sorpresa ammirare i disegni che i granchi e non so quali altri animali lasciavano sulla sabbia con le loro impronte durante la notte. Era tutto fermo e pacifico. Dopo aver fatto la nostra ottima colazione, prendevamo lo scooter e lenti andavamo verso quella che era la nostra spiaggia preferita al riparo dal vento che soffiava tutti i giorni. La strada che dovevamo percorrere è stata una delle mie parti preferite, un percorso lungo il quale non si incontravano macchine, ma al massimo motorini guidati a volte da ragazzini di 10-12 anni, oppure gruppi di scimmie sugli alberi o sull’altare di Buddha a curiosare tra le offerte. La natura selvaggia ci circondava in ogni angolo dell’isola. Una volta al giorno scendevamo verso il “paese” per trovare un po’ di connessione e comunicare con le nostre famiglie. Nel giro di due giorni credo che tutti ormai ci conoscessero.
Abbiamo anche avuto occasione di andare ad una festa in spiaggia. Il bar per quanto umile e costruito in maniera rudimentale, era bellissimo. Gestito ovviamente da ragazzi del posto che per la serata proponevano musica dal vivo e grigliata di pesce e pannocchie di mais. I cocktail erano buonissimi e dopo esserci rilassati, ascoltato un po’ di buona musica davanti ad un tramonto bellissimo e mangiato del freschissimo pesce arrosto, siamo tornati a Coral Bay. Attraversare la foresta al buio, buio completo, è stata un’esperienza elettrizzante. Non ero proprio rilassata ma felice di poterlo fare, anche perchè non ero io a guidare! Lo scooter illuminava la strada davanti giusto il tanto per permetterci di evitare le buche, il resto era oscurità.
Abbiamo visitato e fotografato alcune spiagge completamente deserte, questo era stato nelle mie fantasie il viaggio in Thailandia. Non mi aspettavo potesse accadere in quei giorni, ma quell’isola ha rappresentato quella parte del viaggio a cui ripensi quando sei a casa, sorridente ma con un nodo in gola.
Lasciare Koh Jum è stato un po’ doloroso, ma ogni giorno guardavo all’orizzonte le sagome delle Phi Phi Island, a circa un’ora di navigazione da Coral Bay, fantasticando su quelle meravigliose spiagge e baie. Così abbiamo scelto la successiva destinazione.
La mattina del nostro settimo giorno una barca è venuta a prenderci in spiaggia ed è stato molto commovente ripartire così.
Siamo saliti a bordo e caricato i nostri zaini, con gli occhi lucidi guardavo Koh Jum diventare sempre più piccola e prima di voltarmi a osservare le Phi Phi sempre più vicine e sgargianti, ho ringraziato e sperato con tutto il cuore di poterci un giorno tornare.
Il viaggio verso la Thailandia prevedeva lo scalo in Giordania, ma una volta arrivati ad Amman, dopo le 4 ore di volo da Roma, abbiamo scoperto che l’aereo che avrebbe dovuto portarci a Bangkok era in ritardo.
Stavamo aspettando il pullman che ci avrebbe portato all’albergo, offerto dalla compagnia aerea ai passeggeri in transito, ai quali toccavano 8 ore serali di attesa.
Fumando una sigaretta davanti all’uscita dell’aeroporto abbiamo scambiato quattro chiacchiere con dei ragazzi francesi, su quello che avevamo intenzione di fare in Thailandia e sui posti che avevamo in mente di visitare. Loro andavano lì per la seconda volta e tra le varie mete che ci hanno consigliato, una in particolare ha catturato la nostra attenzione. Koh Jum. “E’ un’isola bellissima, ci sono delle spiagge poco frequentate ma molto belle, tranquillità, folta vegetazione, pochissimi turisti.. la corrente elettrica però non c’è a tutte le ore del giorno“. Ho segnato Koh Jum sul cellulare e proprio a Krabi questo nome che nel frattempo avevamo un po’ dimenticato, ci viene di nuovo consigliato da Marat. Alle informazioni già in nostro possesso aggiunge che gli abitanti sono “friendly” come gli amici che abbiamo conosciuto in quei due giorni a Krabi. Si, era vero. A Koh Jum non hanno sempre la corrente elettrica e a conferma di questo il bungalow di cui stavamo leggendo le informazioni prima di prenotare, specificava che dalle 6 del mattino alle 15 circa non era garantita l’elettricità, fornita per il resto del giorno da un generatore.
Abbiamo deciso la notte prima di lasciare Krabi che avremo passato i successivi tre giorni a Koh Jum.
Marat e suo marito ci hanno accompagnati al pier che collega Krabi a Koh Jum, dopo aver salutato con un grande abbraccio la dolcissima Marat, siamo saliti sulla barca che nel frattempo aveva caricato viveri e alimenti di vario genere, sacchi di verdura e carne, riso, ortaggi e un frigorifero.
Eravamo noi e tre ragazze inglesi, questa merce e i nostri traghettatori.
Abbiamo navigato lentamente per circa un’ora passando tra isolotti nei quali si poteva scorgere solo foresta.
Una volta arrivati a Koh Jum ho capito da subito che il posto era davvero diverso da quello visto fino ad allora. Abbiamo conosciuto subito la nostra tassista, una sorridente ragazza che ci ha accompagnati al nostro resort. 40 minuti circa di strada.
Lungo il tragitto ci siamo fermati per prendere in affitto uno scooter e proseguito dietro il tuc tuc che portava i nostri bagagli. Abbiamo percorso una strada a dir poco magnifica, attraverso la foresta e quelle che sono le case dei pochi abitanti dell’isola.
Con Coral Bay è stato amore a prima vista. Il nostro appartamento era molto semplice, camera da letto e bagno, ventilatore e zanzariera attorno al letto, che lasciava poco spazio all’interpretazione per quanto riguardava la presenza di insetti e zanzare (che a dispetto delle previsioni non ci hanno assolutamente dato problemi).
A ridosso della foresta e a 50 passi dalla spiaggia che non era una classica spiaggia da cartolina, ma la sabbia era bianca, pulita e non c’era nessuno. Selvaggia, con la vegetazione della foresta alle sue spalle che si estendeva fino alla sabbia stessa e un fondale roccioso e scuro.
Il resort offriva il servizio di ristorazione, il migliore dell’intero viaggio. Colazione, pranzo e cena sempre impeccabili e davanti al mare.
Koh Jum ci ha accolto da subito nel migliore dei modi e noi non sapevamo che quell’isola così povera sarebbe stata alla fine la parte più ricca del viaggio, il posto che ti entra dentro e non se ne va.
Dopo aver parlato con Yu, la figlia del titolare, siamo tornati in camera a sistemare la nostra roba e a conoscere i nostri simpatici vicini di appartamento che proprio dietro la nostra casetta saltavano di ramo in ramo, dandoci il miglior benvenuto che mai potessimo immaginare.
Così come non potevamo immaginare che gli iniziali tre giorni programmati sarebbero diventati prima quattro e infine una settimana intera, perchè da lì non volevamo proprio andar via.
Grazie a Marat abbiamo trovato il modo di vedere le spiagge che rendono Krabi una delle mete più ambite della Thailandia.
Il solo modo per arrivare alle isole è farsi accompagnare in un tour a pagamento da uno dei tanti thailandesi in possesso delle classiche longboat oppure prenotare una gita con i barconi turistici più affollati.
Siamo salpati la mattina alle 9:30 dalla spiaggia davanti al nostro resort e navigato per circa 45 minuti in direzione della prima isola, Chicken Island. Finalmente avevo davanti a me quei famosi isolotti dalla pareti scoscese a picco sul mare, ricoperti di folta vegetazione e che disseminano le coste della Thailandia.
Purtroppo le spiagge più belle sono spesso popolate da decine e decine di visitatori, ma non sempre le barche possono attraccare in spiaggia e non sempre i turisti che le riempiono sanno nuotare. Così dopo il primo tuffo nelle acque cristalline e calde del Mare Andamano e qualche decina di bracciate, ci siamo ritrovati da soli sulla splendida e candida spiaggia di Chicken Island.
Mi sono sdraiata sul bagnasciuga chiudendo gli occhi e ho sentito la felicità di un sogno che si stava realizzando. La Thailandia credo sia un posto che tante persone vogliono visitare, e io lo stavo facendo. Ero circondata ancora una volta da una bellezza disarmante, dall’estate e dal silenzio.
Ma la giornata è proseguita, ed è stato un susseguirsi di spiagge e isole meravigliose, di sabbia bianca, mare cristallino, scenari che la tua fantasia costruisce quando provi a immaginare un’isola deserta. Ero lì e a tratti non mi sembrava vero di aver quella fortuna.
L’unico inconveniente della giornata è stato il mare mosso al rientro. 50 centimetri di onda possono rappresentare un problema per una persona che ha la fobia del mare agitato. Quei 45 minuti mi sono sembrati un’eternità durante i quali nella mia mente ho vissuto gli scenari più catastrofici.
Siamo sbarcati sani e salvi, mi sono guardata indietro verso le sagome delle isole appena salutate e sorrido, un po’ a denti stretti, ma sorrido.
E’ stata una meravigliosa giornata di colori nonostante tutto famigliari, così come i gesti compiuti la sera, al termine di un giorno passato al mare: spalmarsi la crema e controllare i primi segni di quella che diventerà una indimenticabile e bellissima abbronzatura!
Se chiudo gli occhi e ripenso a Krabi sento ancora l’aria calda che mi ha accolta appena uscita dall’aereo. La prima immagine di Krabi che ho nella mente è il vasto spazio cementato del pavimento dell’aeroporto e in fondo alberi, alberi, verde intenso, un’immagine quasi sovraesposta, quasi bruciata da quel sole cocente. Nonostante portassi gli occhiali da sole facevo fatica a guardarmi intorno. L’aria era bollente, irrespirabile e io sentivo di aver trovato finalmente l’estate, quella che non dà tregua, che il viaggio quasi cominciava in quel momento.
I giorni a Krabi sono stati forse i più particolari. Ci siamo voluti fare un regalo e scegliere un resort di fronte alla spiaggia, con la piscina vista mare. Ma la spiaggia, lunghissima, scurissima, deserta, non aveva niente a che vedere con le spiagge e il mare che per me volevano dire Thailandia.
Marat è la ragazza thailandese, musulmana come la maggior parte degli abitanti in questa zona di Krabi, che si è presa cura di noi durante la nostra permanenza in questa parte assolutamente poco visitata e isolata, lontana da negozi, locali, alberghi. I bar più vicini erano in realtà locali che fungevano anche da abitazione, con dei tavoli in pietra davanti alla porta da cui si potevano spesso intravedere gli interni spogli. I pranzi e le cene molto semplici venivano cucinate da donne con il velo sulla testa e profondi occhi scuri.
Marat, conosciuta per caso sulla spiaggia appena arrivati, ci ha portato a pranzo il primo giorno con la sua moto adibita a tuc tuc e ad una festa la sera stessa.
Come descrivere le situazioni in cui ci siamo ritrovati? Forse non basta dire che noi due eravamo gli unici turisti presenti a questa sorta di spettacolo all’aperto, con un palcoscenico e esibizioni di quello che sembrava quasi essere un saggio di fine anno di qualche scuola, con un migliaio di persone di cui molte sedute su terriccio e erba secca, che non applaudivano mai (!). Forse non basta dire che abbiamo assistito ad una gara di quelle che chiamare barche sarebbe un atto di coraggio, da quella stessa lunga e nera spiaggia, in quel tratto strapiena di conchiglie, sotto un sole assurdo. Forse non basta dire che più volte siamo stati fermati per essere ritratti nei selfie di alcuni ragazzi che ci guardavano con aria stranita, sempre sorridenti e gentilissimi e che a tutti i costi volevano fare una foto con noi.
Tornare la sera nella nostra bellissima camera con aria condizionata mi faceva quasi stare a disagio. Ma non mi soffermo sulle sensazioni, non le saprei raccontare.
In certe situazioni ho fatto foto solo con il cellulare, mi è sembrato più discreto, quasi più rispettoso. Per me era assurdo e divertente ma per loro era normalità e come tale non volevo che la loro vita mi sembrasse strana.
Volevo solo capissero quanto apprezzassimo e fossimo grati di quello che facevano per noi.
La domenica ci siamo svegliati rigenerati dopo il sabato trascorso all’insegna delle passeggiate e del travolgente Saturday market. Era il nostro ultimo giorno a Chiang Mai e anche se ero felicissima, visto che solo 24 ore mi separavano dal mio primo bagno al mare, ero un po’ dispiaciuta di dover già lasciare questa adorabile città, che da subito mi aveva fatto sentire a mio agio.
Dopo la colazione siamo usciti alla ricerca di Tiger, questo è il nome con cui si fa chiamare un tassista che avevamo conosciuto il giorno prima e che volevamo ci accompagnasse a visitare il tempio di Wat Phrathat Doi Suthep, a circa un’ora di strada da Chiang Mai. Il viaggio è stato molto particolare, la vecchia e sgangherata macchina di Tiger sembrava dovesse lasciarci a metà strada da un momento all’altro, ma nonostante le aspettative, ha compiuto fino in fondo il suo dovere.
Ci siamo ritrovati davanti non so quanti scalini di preciso, la salita verso il tempio è stata lunga e non poco faticosa. Una volta lasciate le scarpe all’ingresso abbiamo iniziato la nostra visita all’interno. Sotto un sole caldissimo le sculture dorate dei Buddha e la superficie di alcune parti del tempio, riflettevano la luce rendendo tutto ancora più sfarzoso e solenne.
Centinaia di turisti camminavo scalzi su quei pavimenti tiepidi e puliti, accendevano candele davanti agli altari, posavano fiori e si chinavano in preghiera silenziosi. Il profumo dell’incenso accompagnava il suono profondo delle campane che ogni tanto venivano suonate da qualche parte nel tempio, fiori e piante incorniciavano la varietà di texture, statue e ornamenti disseminati per tutto il Wat Phrathat.
E’ stata una bella mattina d’estate che si è conclusa con uno spuntino veloce e una passeggiata tra le bancarelle di souvenir.
Tornati nel nostro ostello ci siamo lasciati abbracciare dalle calde ore del primo pomeriggio e deciso di aspettare che la temperatura fosse un po’ più mite prima di tornare a girovagare.
Nel frattempo siamo venuti a conoscenza del Sunday market e letto qualche recensione.
Nonostante i pareri negativi qua e là sul web che parlavano di eccessivo affollamento e calca, decidiamo verso le 18 di andarci ugualmente. Era a due passi dall’ostello. Non ho nessuna foto di questo mercato, sul telefono ho solo qualche video, ma ci tengo tantissimo a scrivere due righe.
Assieme al Saturday market sono in assoluto i mercati più belli che io abbia mai visitato. E’ strano magari sentirlo dire ma io sono rimasta commossa, avevo la pelle d’oca. Si, la gente era tanta, ma ci si muoveva in maniera ordinata, ci si poteva avvicinare senza problemi alle centinaia di bancarelle che mettevano in mostra i bellissimi e unici prodotti di artigianato locale. Si poteva trovare di tutto, una varietà incredibile di oggetti costruiti con il legno, magliette e abbigliamento con stampe che non ho rivisto in nessun altro posto in Thailandia. Uno spettacolo incredibile. In certi angoli della strada delle signore facevano dei massaggi alle gambe e ai piedi di quelli che, stanchi, volevano adagiarsi su una poltrona e per poche monete ritrovare un po’ di vigore attraverso le mani di una massaggiatrice.
A dispetto dei pareri negativi letti (scritti magari da qualche persona a cui, come me dopo tutto, non piace la folla) tornerei in questo mercato oggi stesso, e ci ho ripensato davvero varie volte nei giorni successivi, un’esperienza unica.
Sulla strada di ritorno all’ostello ci siamo fatti tentare da una divertente e originale pedicure, 1 euro per 20 minuti. I piedi immersi in quella vasca e i pesciolini che pizzicavano leggermente, non riuscivo a trattenermi dal ridere. Per i primi 10 minuti ho attirato gli sguardi divertiti o infastiditi, non saprei, di chi nella sala affianco faceva massaggi alle gambe, ma resistere a quel solletico inizialmente è stato impossibile!
L’indomani mattina alle 5:30 eravamo su un tuc tuc diretti all’aeroporto. Ero tesa, emozionata e un po’ stanca, ma pronta per lasciarmi travolgere dal sud e dalle isole.
Qualche giorno dopo a Koh Jum, davanti ad un tramonto mozzafiato, abbiamo bevuto un cocktail e scambiato due parole con un ragazzo che viaggiava da solo. Anche lui aveva trascorso qualche giorno a Chiang Mai proprio durante il weekend, anche lui era stato sia al Saturday che al Sunday market. Non c’è stato bisogno di usare troppe parole quando abbiamo nominato questi due mercati, guardando le rispettive espressioni ci siamo ritrovati a ridere, e lui, mentre sorridente guardava il suo cocktail rigirandolo con la cannuccia, si è limitato a dire “Crazy guys, crazy! Absolutely amazing experience.”
Il nostro secondo giorno pieno a Chiang Mai è stato in parte dedicato ad alcune commissioni e al riposo. In tutta calma abbiamo scaricato le foto fatte fino a quel momento, portato i nostri vestiti in lavanderia da un’anziana signora, pranzato all’aperto lungo una strada turistica. Abbiamo recuperato un po’ di forze e scoperto per puro caso che ogni sabato alle 18 si può visitare il Saturday market. Si trovava proprio vicino al nostro ostello quindi ci siamo diretti a piedi con tanta curiosità e una volta lì abbiamo capito da subito che sarebbe stata l’ennesima esperienza indimenticabile.
Il mercato si estende lungo una strada a fianco al fiume che percorre la città, l’atmosfera era elettrica. Tantissima gente camminava incuriosita in quel turbinio di mille profumi e colori. C’erano centinaia di cibi diversi, pietanze mai viste e mai assaggiate, frutti dalla forma e dal colore stranissimi, varietà incredibili di pesci, spremute, granite, carni e riso. Un festival più che un mercato, impossibile non restarne affascinati e non farsi tentare dal comprare qualcosa.
Avevamo ormai ricevuto un prezioso consiglio che ci ha permesso di mangiare più o meno tranquillamente la cucina thailandese senza incorrere nel rischio di buttare giù qualche boccone estremamente piccante, due semplici parole che consiglio di tenere a mente a chi ha intenzione di fare un viaggio in Thailandia: mi phed (si pronuncia “mai pet“), che significa appunto “non piccante”. Siamo andati estremamente cauti con i nostri acquisti in questo mercato, abbiamo assaggiato qualche cibo particolare ma l’impressione che abbiamo avuto è stata veramente positiva.
Osservare così da vicino la tradizione e le usanze culinarie di un paese, l’interesse delle persone straniere e gli acquisti degli abitanti, è stato estremamente interessante, divertente e intrigante!
Buona visione!