Siamo arrivati nell’isola di Phuket dopo circa novanta minuti di navigazione su un comodissimo traghetto partito dal pier delle Phi Phi Island.
Una notte a Patong, solo questo avevamo deciso al nostro arrivo a Phuket. L’idea di cosa fare dei nostri ultimi 3-4 giorni è arrivata per caso durante il transfer dal porto all’albergo. Un ragazzo inglese ha iniziato a parlarci di Nai Yang, consigliandocela vivamente per la bellissima spiaggia e la tranquillità del posto, quindi abbiamo preso appunti.
Dopo circa un’ora di macchina siamo arrivati al nostro albergo.
Patong è stato come un ritorno alla realtà. Dopo una settimana lontani dal resto del mondo, il traffico e il caos di questa località disegnata per il turismo, ci hanno fatto sentire come dei pesci fuor d’acqua. Questa è stata la sensazione iniziale. E con questa sensazione siamo quasi fuggiti la mattina successiva verso Nai Yang.
Decidiamo così di trascorrere i nostri ultimi cinque giorni in questa bellissima località che si affaccia sul mare, in un albergo vicinissimo all’aeroporto e al Sirinat National Park.
Abituati ormai ad una sorta di indipendenza, prendiamo in affitto uno scooter ed è esplorando la costa di questa parte dell’isola che scopriamo per caso un bellissimo isolotto ricoperto di sole palme che con la bassa marea è raggiungibile a piedi.
In questa suggestiva cornice ci rifugiamo per le nostre ultime giornate di mare, trascorrendo mattinate caldissime in spiagge completamente deserte.
Ho provato a godermi appieno ogni istante, ma per quanto mi sforzassi, più si avvicinava il giorno della partenza più cresceva in me una sorta di malinconia.
Ho cercato di vivere ogni istante con gratitudine e umiltà, senza pregiudizi e preconcetti, cercando di trarre un insegnamento da ogni momento, spensierato, complicato, divertente o stressante che fosse.
Ho cercato di relazionarmi con tutti con onestà e sincerità, nel bene e nel male. Ho di nuovo capito quanto sia fondamentale nella mia vita essere me stessa, seguire le mie sensazioni, ascoltarle. E’ un istinto fortissimo quello che mi spinge a non soffocare mai un’emozione, a manifestarla o semplicemente viverla intensamente in silenzio. Mi piace vivere una situazione o una persona a 360 gradi, lasciare lo spazio per far sì che l’ambiente o una sensibilità altrui si manifesti completamente, dandomi la possibilità di entrare in quel mondo e ammirarne le sfumature, anche quelle che ti fanno soffrire.
Ho lasciato che il viaggio mi guidasse, mostrandosi e mostrandomi di volta in volta la direzione da prendere. L’ho seguito, l’ho ascoltato e ringraziato, infinitamente.
Trust your journey. Always.
Grazie a Marat abbiamo trovato il modo di vedere le spiagge che rendono Krabi una delle mete più ambite della Thailandia.
Il solo modo per arrivare alle isole è farsi accompagnare in un tour a pagamento da uno dei tanti thailandesi in possesso delle classiche longboat oppure prenotare una gita con i barconi turistici più affollati.
Siamo salpati la mattina alle 9:30 dalla spiaggia davanti al nostro resort e navigato per circa 45 minuti in direzione della prima isola, Chicken Island. Finalmente avevo davanti a me quei famosi isolotti dalla pareti scoscese a picco sul mare, ricoperti di folta vegetazione e che disseminano le coste della Thailandia.
Purtroppo le spiagge più belle sono spesso popolate da decine e decine di visitatori, ma non sempre le barche possono attraccare in spiaggia e non sempre i turisti che le riempiono sanno nuotare. Così dopo il primo tuffo nelle acque cristalline e calde del Mare Andamano e qualche decina di bracciate, ci siamo ritrovati da soli sulla splendida e candida spiaggia di Chicken Island.
Mi sono sdraiata sul bagnasciuga chiudendo gli occhi e ho sentito la felicità di un sogno che si stava realizzando. La Thailandia credo sia un posto che tante persone vogliono visitare, e io lo stavo facendo. Ero circondata ancora una volta da una bellezza disarmante, dall’estate e dal silenzio.
Ma la giornata è proseguita, ed è stato un susseguirsi di spiagge e isole meravigliose, di sabbia bianca, mare cristallino, scenari che la tua fantasia costruisce quando provi a immaginare un’isola deserta. Ero lì e a tratti non mi sembrava vero di aver quella fortuna.
L’unico inconveniente della giornata è stato il mare mosso al rientro. 50 centimetri di onda possono rappresentare un problema per una persona che ha la fobia del mare agitato. Quei 45 minuti mi sono sembrati un’eternità durante i quali nella mia mente ho vissuto gli scenari più catastrofici.
Siamo sbarcati sani e salvi, mi sono guardata indietro verso le sagome delle isole appena salutate e sorrido, un po’ a denti stretti, ma sorrido.
E’ stata una meravigliosa giornata di colori nonostante tutto famigliari, così come i gesti compiuti la sera, al termine di un giorno passato al mare: spalmarsi la crema e controllare i primi segni di quella che diventerà una indimenticabile e bellissima abbronzatura!
Se chiudo gli occhi e ripenso a Krabi sento ancora l’aria calda che mi ha accolta appena uscita dall’aereo. La prima immagine di Krabi che ho nella mente è il vasto spazio cementato del pavimento dell’aeroporto e in fondo alberi, alberi, verde intenso, un’immagine quasi sovraesposta, quasi bruciata da quel sole cocente. Nonostante portassi gli occhiali da sole facevo fatica a guardarmi intorno. L’aria era bollente, irrespirabile e io sentivo di aver trovato finalmente l’estate, quella che non dà tregua, che il viaggio quasi cominciava in quel momento.
I giorni a Krabi sono stati forse i più particolari. Ci siamo voluti fare un regalo e scegliere un resort di fronte alla spiaggia, con la piscina vista mare. Ma la spiaggia, lunghissima, scurissima, deserta, non aveva niente a che vedere con le spiagge e il mare che per me volevano dire Thailandia.
Marat è la ragazza thailandese, musulmana come la maggior parte degli abitanti in questa zona di Krabi, che si è presa cura di noi durante la nostra permanenza in questa parte assolutamente poco visitata e isolata, lontana da negozi, locali, alberghi. I bar più vicini erano in realtà locali che fungevano anche da abitazione, con dei tavoli in pietra davanti alla porta da cui si potevano spesso intravedere gli interni spogli. I pranzi e le cene molto semplici venivano cucinate da donne con il velo sulla testa e profondi occhi scuri.
Marat, conosciuta per caso sulla spiaggia appena arrivati, ci ha portato a pranzo il primo giorno con la sua moto adibita a tuc tuc e ad una festa la sera stessa.
Come descrivere le situazioni in cui ci siamo ritrovati? Forse non basta dire che noi due eravamo gli unici turisti presenti a questa sorta di spettacolo all’aperto, con un palcoscenico e esibizioni di quello che sembrava quasi essere un saggio di fine anno di qualche scuola, con un migliaio di persone di cui molte sedute su terriccio e erba secca, che non applaudivano mai (!). Forse non basta dire che abbiamo assistito ad una gara di quelle che chiamare barche sarebbe un atto di coraggio, da quella stessa lunga e nera spiaggia, in quel tratto strapiena di conchiglie, sotto un sole assurdo. Forse non basta dire che più volte siamo stati fermati per essere ritratti nei selfie di alcuni ragazzi che ci guardavano con aria stranita, sempre sorridenti e gentilissimi e che a tutti i costi volevano fare una foto con noi.
Tornare la sera nella nostra bellissima camera con aria condizionata mi faceva quasi stare a disagio. Ma non mi soffermo sulle sensazioni, non le saprei raccontare.
In certe situazioni ho fatto foto solo con il cellulare, mi è sembrato più discreto, quasi più rispettoso. Per me era assurdo e divertente ma per loro era normalità e come tale non volevo che la loro vita mi sembrasse strana.
Volevo solo capissero quanto apprezzassimo e fossimo grati di quello che facevano per noi.